Simone Veil parla della sua vita. Il sole di Nizza, una famiglia unita, repubblicana e laica. E poi invece il freddo, la fame, le umiliazioni, i compagni di prigionia, i rapporti fra uomini e donne, i suoi diciotto mesi in un campo di concentramento. Racconta il ritorno, nuove forme di umiliazioni, la difficoltà di parlare, il suo impegno per la salvaguardia della memoria. Solo la speranza che la Shoah non venga mai dimenticata può lenire il dolore. Dalle sue parole emerge un libro (ed. Corbaccio, introduzione di Liliana Segre) di un’immediatezza rara: la sua forza non sta nei fatti che descrive, e che sono ben noti, bensì nella forma, di una spontaneità stupefacente. Veil si lascia condurre dai ricordi, mescola aneddoti e riflessioni, le piccole storie alla grande Storia.
Ne parliamo lunedì 19 febbraio alle 18.30 con David Bidussa, storico sociale delle idee (Dopo l’ultimo testimone, ed. Einaudi) e Micol Sarfatti, giornalista (Margherita Sarfatti, ed. Perrone).