La prima mossa per distruggere gli avversari era indicarli con un dispregiativo, oppure storpiare il loro nome. Il fine era renderli ridicoli, ovvero non trattare il bersaglio della propria critica come “pari di grado”. E anche oggi ogni parola porta con sé una storia di significati, espliciti e impliciti: dietro ad espressioni apparentemente innocenti si nasconde l’intento di colpire il diverso, l’escluso. Nel 1922 come nel 2019, con richiami continui fra queste due epoche.
Vi aspettiamo per il prossimo appuntamento della rassegna “Premesso che non sono razzista” il 15 aprile 2019, ore 21.00, per l’incontro con Giuseppe Antonelli e Carlo Greppi in “La lingua dell’odio”.